7 anni di danza classica, non riesco nemmeno ad entrare da Decathlon senza che mi venga la nausea. Proteine in polvere, barrette energetiche, integratori gusto maracuja, beveroni al gusto banana e cioccolato che ti faranno dimenticare anche della carbonara, dicono. Deliziosi caschetti per biciclette, kimoni, kettlebell, manubri, tappetini fitness primo e secondo prezzo, palle di tutte le dimensioni, tutine comfort per lo Yoga Sivananda o per il Kundalini acrobatico che stimola l'attività sessuale, Zumba wear per mettere a tuo agio glutei e narcisismo. Mi sento circondata da una moltitudine di vestiti e attrezzi che ti fanno pensare che se non hai almeno una t-shirt Kalenji non puoi andare a correre nemmeno sul marciapiede.
Io ho sempre fatto parte di quella categoria di alunni che a scuola, durante l'ora di educazione fisica, si imboscava dietro i pilastri della palestra. La professoressa mi detestava ed io ritenevo che il tempo trascorso a sudare e a fare puzzare i piedi prima dell'ora di greco fosse tempo assolutamente perso. Non mettevo nemmeno le scarpe da tennis per farle dispetto, fin quando me la fece pagare nel momento migliore, cioè alla maturità. Quell'anno fu proprio l'insegnante di ginnastica uno dei commissari interni e proprio lei pensò bene di farmi una domanda di "teoria":
-"Quartararo, parliamo della pallavolo, spiegaci qual è il ruolo del libero"
-"Il libero è uno che...appunto quando ha tempo libero va giocare a pallavolo", risposi con voce sepolcrale.
Mi salvò la docente di greco chiedendomi prontamente di tradurre un passo dell'Odissea.
Tutti gli abbonamenti in palestra che ho sottoscritto nella mia vita sono stati praticamente devoluti in beneficienza. Mi iscrivo, frequento due settimane e poi vengo inghiottita da un atavico senso di angoscia. L'idea di uscire di casa, prendere un mezzo e chiudermi in un altro posto pieno di gente che corre e suda su un tappeto fermo o su una bicicletta imbullonata, mi fa rabbrividire. Poi un giorno: la svolta. In una delle rare volte in cui ho cavalcato una cyclette, il mio sguardo si è posato sul linoleum dove giaceva smarrito un braccialetto fitness leopardato, uno di quelli che controllano la tua attività fisica, i battiti del cuore, le calorie consumate, i passi e i chilometri percorsi.
"Che carino" pensai, lo presi e me lo misi in tasca senza sapere cosa mi avrebbe riservato. A mia insaputa avevo trovato l'oggetto che mi avrebbe reso schiava: il Mi Band.
Il Mi Band, non è un comune orologio fitness, è il mio padrone.
Si narra che ci vogliono 8000 passi per tenersi in forma e quando li hai raggiunti questo braccialetto emette una vibrazione per dirti "brava, oggi hai raggiunto il tuo obbiettivo". Naturalmente l' obbiettivo può essere personalizzato in base alle vostre capacità.
In realtà ottomila passi per una come me, della mia statura intendo, non sono tantissimi, sono circa sei km e dal momento che non sto mai ferma sono in grado di farli anche solo muovendomi per casa.
La prima volta che l'ho indossato per vedere se funzionava, sono andata a buttare la spazzatura nei cassonetti di un altro condominio, ho controllato il display e passo dopo passo mi sono ritrovata a dover prendere un autobus per rincasare.
Vibra pure se non ti muovi per troppo tempo, si chiama "avviso sedentarietà". In questo caso emette più vibrazioni e ti sembra quasi di sentire la voce del sergente maggiore Hartman: "Ehi, alza le chiappe da quel divano e vai a fare il giro dell'isolato ti mancano solo 6500 passi all'obbiettivo giornaliero".
Ho iniziato con 8 mila passi, poi 9 e adesso sono a 16 mila giornalieri. Quando la sera mi accorgo che ne manca qualcuno, se è il caso, comincio a far su e giù dal corridoio di casa.
"Ma perché!?" mi chiedeva mio marito comodamente sdraiato a leggere sul letto. Lui sì che è un vero sportivo, ha sempre fatto esercizio fisico, non in modo paranoico, ma diciamo che ha una buona collezione di tute Kalenji.
"Guarda! guarda! mancano sono 300 passi ed ho raggiunto i miei primi 16 mila!", gliene parlavo con euforia maniacale; ad ogni traguardo raggiunto lo obbligavo a guardare il display decantandogli le virtù terapeutiche di quella che è diventata un' ossessione. Ha smesso di ascoltarmi intorno ai 10 mila passi. Non mi ha mai presa sul serio, finché un giorno non l'ho regalato anche a lui e adesso facciamo a gara a chi dopo cena deve andare a buttare la spazzatura. Naturalmente nei bidoni del condominio a 6 isolati dal nostro.
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