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martedì 8 agosto 2023

Lanzichenecchi a Torino

Lanzichenecco
Oggi, come di consueto, ho preso l'autobus perché il tram è stato rimandato a settembre.
Il mio posto era in piedi nell'area per le carrozzine dei disabili, tra un sacco pieno di ciarpame contrafatto di un venditore abusivo e una donna in burqa con le unghie incastonate di luccicanti swarovski di plastica. Passeggeri ovunque, di ogni tipo, sembrava un vagone di deportati. L'aria condizionata era spenta e vicino a me sedeva una coppia di tossici che stava dirigendosi a Porta Palazzo.
T-shirt color muffa, jeans recuperati dai cassonetti, scarpe da ginnastica bucate, dread incatramati. E la lattina di birra Eurospin in mano, già mezza vuota alle 8 del mattino. Nessuno dei due portava la dentiera. Io indosso, malgrado il caldo, un vestito verde militare in puro poliestere, comprato l'anno scorso dai cinesi. Dal mio zainetto in plastica riciclata, preso coi punti della Coop, ho estratto il mio smartphone ed ho cominciato a leggere la posta elettronica sulla casella del lavoro, giusto per avere un'anteprima delle rogne che mi sarei ritrovata in ufficio.
Mentre facevo questo, costoro parlavano ad alta voce come fossero i padroni del vagone assolutamente incuranti di chi gli stava attorno:
"L' hai preso il metadone?"
"Sì che l'ho preso,ora con la birra... ma ora non ho voglia di andare a comprare il fumo e tu mi stai portando a Porta Palazzo..."
Nel frattempo l'autobus si riempiva di altre persone che inveivano contro l'amministrazione, Dio e il riscaldamento globale, mentre altri ragazzini ascoltavano musica neomelodica da avanzo di galera e ad un volume indecente.
Loro, tutti, erano totalmente indifferenti a me, alla mia persona, come se fossi un’entità trasparente, un ectoplasma, visto che ho passato il tempo a cercare di non farmi pestare i piedi. Per loro chi era costei? Un signora con la ricrescita, una psicopatica, una semplice impiegata morta di sonno che veniva da un altro quartiere e che non li interessava.
Arrivando alla mia fermata, Rondò della Forca, mi sono fiondata all'esterno cercando di autoespellermi il prima possibile. In apnea, non li ho salutati, li evitavo e fortunatamente mi evitavano, perché la verità è che tutti siamo fatti della stessa sostanza dei lanzichenecchi.



PS.  [Aneddoto] A Torino si narra che quando la figlia comunicò  a Gianni Agelli  di voler sposare l' Elkann,  "l'avvocato"  rispose: "tra tutti gli ebrei, che sono notoriamente intelligentissimi, tu hai scelto l'unico coglio**"


martedì 4 aprile 2023

La Coop sei proprio tu

 
Supermarket distrutto
a Kharkhiv


Oggi sono andata alla Coop e in radio tra una promozione sui pannoloni per l'incontinenza e la ricotta pugliese la voce suadente della speaker invitava tutti all'acquisto di prodotti a marchio per sostenere l'Ucraina. Non voglio entrare nel merito del torto e della ragione, dal momento che ho sempre ritenuto assurdo sostenere la morte, la distruzione e l'acquisto di strumenti di devastazione per mettere fine ad un conflitto armato in cui muoiono civili senza colpe. Spegnere il fuoco con altro fuoco è antiscientifico e irrazionale. Ho sempre ritenuto che nel 2023 i tempi siano maturi per poter addivenire ad una soluzione diplomatica a cui dovrebbe partecipare tutta la comunità internazionale non coinvolta direttamente (almeno sulla carta). La recláme che "sostiene l'Ucraina" -le parole sono importanti- viene ripetuta più volte durante la giornata come fosse uno spot come un altro, mentre i consumatori si aggirano indisturbati fra gli scaffali cercando l'occasione migliore. Tra un barattolo di fagioli e una Simmenthal la gente continua a morire sotto le bombe, mentre la calda voce femminile cerca di convincerti che l'acquisto di una scatoletta di tonno aiuterà un bambino a sopravvivere ad un missile che, noi stessi alimentando questa guerra, gli stiamo recapitando sul tetto dell' asilo.
Inquietante, a dir poco, il jingle che separa l'annuncio di macabra solidarietà dall'offerta del mese sulle costine di agnello da prenotare al reparto macelleria per le festività Pasquali.
Nessuno sembra farci caso, i clienti continuano a vagare tra i reparti alla ricerca della "convenienza" tra un impiegato che sbuffa stufo delle sue condizioni di lavoro e il mendicante all'ingresso che chiede l'elemosina per i suoi figli in Senegal.
Perché la Coop sei proprio tu.

giovedì 7 gennaio 2021

Ottomila passi

Non sono mai stata una sportiva, a parte la piccola parentesi di 
7 anni di danza classica, non riesco nemmeno ad entrare da Decathlon senza che mi venga la nausea. Proteine in polvere, barrette energetiche, integratori gusto maracuja, beveroni al gusto banana e cioccolato che ti faranno dimenticare anche della carbonara, dicono.  Deliziosi caschetti per biciclette, kimoni, kettlebell, manubri, tappetini fitness primo e secondo prezzo, palle di tutte le dimensioni, tutine comfort per lo Yoga Sivananda o per il Kundalini acrobatico che stimola l'attività sessuale, Zumba wear per mettere a tuo agio glutei e narcisismo. Mi sento circondata da una moltitudine di vestiti e attrezzi che ti fanno pensare che se non  hai almeno una t-shirt Kalenji non puoi  andare a correre nemmeno sul marciapiede.

Io ho sempre fatto parte di quella categoria di alunni che a scuola, durante l'ora di educazione fisica, si imboscava dietro i pilastri della palestra. La professoressa mi detestava ed io ritenevo che il tempo trascorso a sudare e a fare puzzare i piedi prima dell'ora di greco fosse tempo assolutamente perso. Non mettevo nemmeno le scarpe da tennis per farle dispetto, fin quando me la fece pagare nel momento migliore, cioè alla maturità. Quell'anno fu proprio l'insegnante di ginnastica uno dei commissari interni e proprio lei pensò bene di farmi una domanda di "teoria":
-"Quartararo, parliamo della pallavolo, spiegaci qual è il ruolo del libero"
-"Il libero è uno che...appunto quando ha tempo libero va giocare a pallavolo", risposi con voce sepolcrale. 
Mi salvò la docente di greco chiedendomi prontamente di tradurre un passo dell'Odissea. 

Tutti gli abbonamenti in palestra che ho sottoscritto nella mia vita sono stati praticamente devoluti in beneficienza. Mi iscrivo, frequento due settimane e poi vengo inghiottita da un atavico senso di angoscia. L'idea di uscire di casa, prendere un mezzo e chiudermi in un altro posto pieno di gente che corre e suda su un tappeto fermo o su una bicicletta imbullonata,  mi fa rabbrividire. Poi un giorno: la svolta. In una delle rare volte in cui ho cavalcato una cyclette, il mio sguardo si è posato sul linoleum dove giaceva smarrito un braccialetto fitness leopardato, uno di quelli che controllano  la tua attività fisica, i battiti del cuore, le calorie consumate, i passi e i chilometri percorsi. 
"Che carino" pensai, lo presi e me lo misi in tasca senza sapere cosa mi avrebbe riservato. A mia insaputa avevo trovato l'oggetto che mi avrebbe reso schiava: il Mi Band.
Il Mi Band, non è un comune orologio fitness, è il mio padrone.
Si narra che ci vogliono 8000  passi per tenersi in forma e quando li hai raggiunti questo braccialetto emette una vibrazione per dirti "brava, oggi hai raggiunto il tuo obbiettivo". Naturalmente l' obbiettivo può essere personalizzato in base alle vostre capacità. 
In realtà ottomila passi per una come me, della mia statura intendo,  non sono tantissimi, sono circa sei km e dal momento che non sto mai ferma sono in grado di farli anche solo muovendomi per casa. 
La prima volta che l'ho indossato per vedere se funzionava, sono andata a buttare la spazzatura nei cassonetti di un altro condominio, ho controllato il display e passo dopo passo  mi sono ritrovata a dover prendere un autobus per rincasare.
Vibra pure se non ti muovi per troppo tempo, si chiama "avviso sedentarietà". In questo caso emette più vibrazioni e ti sembra quasi di sentire la voce del sergente maggiore Hartman: "Ehi, alza le chiappe da quel divano e vai a fare il giro dell'isolato ti mancano solo 6500 passi all'obbiettivo giornaliero".
Ho iniziato con  8 mila passi, poi 9 e adesso sono a 16 mila giornalieri. Quando la sera mi accorgo che ne manca qualcuno, se è il caso,  comincio a far su e giù dal corridoio di casa.

"Ma perché!?" mi chiedeva mio marito comodamente sdraiato a leggere sul letto.  Lui sì che è un vero sportivo, ha sempre fatto esercizio fisico, non in  modo paranoico, ma diciamo che ha una buona collezione di tute Kalenji.
"Guarda! guarda! mancano sono 300 passi ed ho raggiunto i miei primi 16  mila!", gliene parlavo con euforia maniacale; ad ogni traguardo raggiunto lo obbligavo a guardare il display decantandogli le virtù terapeutiche di quella che è diventata un' ossessione. Ha smesso di ascoltarmi intorno ai 10 mila passi.  Non mi  ha mai presa sul serio, finché un giorno non l'ho regalato anche a lui e adesso facciamo a gara a chi dopo cena deve andare a buttare la spazzatura. Naturalmente nei bidoni del condominio a 6 isolati dal nostro.









mercoledì 5 novembre 2014

"Aspetti anche tu il 32?" "No io batto"

graffito alla fermata dell'autobus
Fermata dell'autobus, mi sovviene l'eterno, fa un freddo così becco a Torino che se potessi metterei lo scaldasonno come poncho.
Attendo l'autobus alla fermata.
"Vuoi un passaggio?"
"No, ammazzati", rispondo.
Dopo qualche minuto un altro gentleman: "Se vuoi ti accompagno""Muori", reagisco di nuovo.
Mi guardo accanto. Mi viene un dubbio lucido come la borsetta della signorina che ho accanto e mi rivolgo a lei:
"Scusi, ma aspetti anche tu il 32?"
"No, io batto".
Ok, la prossima volta vado a piedi.