giovedì 24 dicembre 2020

Natale con i tuoi


Io non so come funzioni nelle famiglie non numerose, non riesco a capire come si possano essere evoluti  e  che visione abbiano della vita in generale. Mi domando come sia stato crescere in un ambiente silenzioso, equilibrato e proporzionato ad un bambino, dal momento che se rivolgo lo sguardo al passato  mi balza alla mente il mercato dei polli di Hong Kong.

Mia nonna materna ha avuto cinque figli ed ognuno di questi ha avuto almeno tre figli, praticamente quando ci riunivamo a Natale non eravamo una famiglia, ma un reggimento di vichinghi chiusi in un appartamento di appena 60 metri quadri, che si riducevano a 55 per via della cucina che veniva dichiarata zona rossa con editto di mia zia.  Era come in Survivor , quel format degli anni '90 in cui un gruppo di persone doveva sopravvivere in un luogo ostile, avendo poche risorse a disposizione.

Vigeva la regola tacita per cui ognuno faceva quello che voleva, purché alla fine non fosse necessario chiamare un'ambulanza. Tredici minorenni urlanti sparsi in casa, alberi di  Natale abbattuti, adulti che fumavano come locomotive a vapore, tossivano pure i re magi del presepe.

Il menù della cena era già stato stabilito alla fine del rave alimentare di Pasqua. Si cucinava talmente tanta roba che negli anni avremmo potuto sfamare l'intera Somalia. Noi bambini mangiavamo quello che c'era, altro che menù dedicato, tanto eravamo più interessati a giocare tra cugini che a misurarci qualche giorno dopo la curva glicemica con l'altimetro. 

Quando finivamo di cenare arrivava il momento dei giochi, per intrattenerci fino alla mezzanotte, momento in cui avremmo ripreso a mangiare i dolci per festeggiare coi carboidrati la nascita di Gesù bambino, mentre metà della tribù era oramai riversa sui divani a dormire e l'altra a parlare di politica e soldi. 

Era sempre mia nonna, la matriarca, a decretare il via ai giochi che erano rigorosamente sempre gli stessi: sette e mezzo, mercante in fiera e tombola, nessuno poteva proporne altri. A lei non piacevano e quindi nessuno poteva giocarci.

"Giochiamo per far divertire i bambini" diceva con gli occhi luccicanti, mentre tirava fuori dal reggipetto il suo bottino tintinnante di monete da duecento lire. Ci sedevamo tutti intorno al lungo puzzle di tavoli e nel momento in cui lei prendeva possesso del capotavola, smetteva di essere nonna e si trasformava in una ludopatica assatanata, proprio si trasfigurava. 

Perdere la faceva incazzare da morire, non guardava più in faccia  nessuno, nemmeno i più piccoli. Lo sapevamo tutti, soprattutto mio padre che la faceva impazzire. Lui era quello che "tirava la tombola" e quando estraeva i numeri un semplice  57 non era il 57, ma era "l'autobus che porta da piazza Indipendenza a via Roma" oppure "6 x10-3".  Mia nonna non lo sopportava e lo sopportava ancora meno quando si accorgeva che pescava i numeri e poi li ributtava dentro per far vincere qualche bambino che nella maggior parte dei casi era mio fratello minore: "l'eletto". Bisticciavano, mio padre rideva e mia nonna voleva ridurlo in minutissimi frammenti col solo potere dello sguardo.

Fortunatamente poi arrivava qualcuno che provvidenzialmente tirava fuori il set di panettoni, l'amaro Averna per digerire il panettone e il Brioschi per digerire l'amaro.

Quest'anno un Natale così sarebbe illegale, la mia famiglia sarebbe riqualificata come assembramento e mia nonna sarebbe stata in prigione. Oggi mi manca un po' tutto, ma a quei tempi per me era un martirio. Piangevo pure alle mie feste di compleanno, oggi sarei considerata una bambina "disfunzionale", alcune volte ho anche desiderato che sparissero tutti di botto come in "mamma ho perso l'aereo".

Ci sono voluti 30 anni per realizzare il mio desiderio, la magia di questo Natale li ha fatti sparire tutti giusto con qualche lustro di ritardo, proprio adesso che vorrei portare il tempo indietro.
















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