Come ogni mattina controllo le mie piante, gli parlo, le accarezzo. Quando sto lontana qualche giorno- soprattutto le rose- sembrano esser tristi. Mi pare di sentire il Gelsomino: "perchè mi hai lasciato?" .
O ancora i Gerani, antipatici e selvaggi: "eccola la stronza, finalmente è tornata". Allora mi munisco di acqua e cesoie e comincio una lenta perlustrazione. Taglio le foglie secche, sposto il terriccio; poi è il momento dell'acqua e un senso di colpa pervade la mia mente: un esercito di formiche laboriose -forse stanno rosicchiando i resti di qualche bacca portata da uccellini di passaggio- che si barcamena tra ghiaia e foglie secche, ed io lì con la mia ombra e l'innaffiatoio. Il senso di colpa si fa sempre più vivido: "salvare le piante o far morire annegate le laboriose formiche?". E' proprio un attimo, l'interdizione del momento, e decido per la sete. Un baleno e loro sono lì che galleggiano, disperate fra la terra, che osservano il loro mostro compiaciuto- ma anche disperato- che guarda verdeggiare anche quello stronzo del geranio.
Per Dio, forse, anche noi alcune volte siamo gerani e altre, invece, povere formiche.
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