Palermo, annus domini MMXX.
Il #coronavirus giunge a Palermo. Tratto da una storia vera.
Nel nosocomio Ospedale Cervello una famiglia piange il caro estinto nella camera mortuaria.
I parenti sono riuniti intorno al feretro, piangono, mormorano:
"Che brava persona che era", "poteva vivere ancora un po', non era vecchio", "una brutta malattia se l'é portato". Pianti. Commiati.
La sala si fa sempre più gremita. Accorrono parenti da Agrigento per l'ultimo saluto.
Ad un certo punto, nel brusio sommesso, arriva il parente zero che trafelato urla: "Peeeyno, al prontosoccorso hanno detto ca arrivó u' coronavirus, Scappiamo! ", in 5 secondi l'Apocalisse. Fuggi fuggi generale, le donne acchiappano i bambini e si fiondano fuori urlando il si salvi chi puó. Pino e il parente zero cominciano un giro di telefonate per fermare i parenti in arrivo dall'estero: "Totó, torna indietro, quà c'è il coronavirus... Come sarebbe a dire come fai a tornare?...Scendi a Roccapalumba e prendi quello di ritorno per Agrigento". La sala comincia a svuotarsi, un parente che stava mangiando un panino lo getta per terra, se la dà a gambe levate, si spacca un sacchetto della spesa. Mele che rotolano dappertutto. La sala adesso è vuota, c'è solo la bara scoperchiata e il panico che fa eco. A quel punto arriva l'operatore delle pompe funebri che basito rincorre l'ultimo visitatore rimasto che sta scappando, lo acchiappa per la manica e chiede: "Scusi, ma ora noi che facciamo?"
"Lo chiuda, lo chiuda! Si sbrighi, tanto non resuscita!"
Vanno via davvero tutti. La bara è sigillata, abbandonata insieme alle mele. Un uomo che si trovava lì, aveva assistito alla scena, si avvicina all'operatore delle pompe funebri che sta andando via e chiede: "Sa, mica come si chiamava questo signore?", riferendosi al defunto.
"No, mi dispiace, non gliel'ho chiesto prima di chiuderlo".
FINE.
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